prossima fermata Milano #17 dicembre

Abbiamo fatto più strada di quella che ci saremmo aspettate. Questa è la verità. Bisogna dirlo perchè nessuno, da quel 4 ottobre, si sarebbe immaginato che tante persone, uomini e donne, avrebbero condiviso questa iniziativa. Che, va detto, davanti mette proposte e obiettivi, e dietro le persone, gli slogan. Non è cosa che genera simpatia in genere, soprattutto a chi ama truppe con voto di obbedienza. Comunque, eccoci qui. Oggi qualcuno dice che nella politica c'è anche il tempo dell'attesa, #2eurox10leggi dimostra invece che c'è una parte di persone che pensa che non c'è più tempo da perdere. Che ha forte desiderio per il più radicale dei cambiamenti, quello che coinvolge il patto tra donne e uomini nella costruzione del loro futuro. In fretta siamo arrivati al 17 dicembre, il giorno del “debutto live” di #2eurox10leggi al Teatro Verga di Milano (a lato il logo con il link dell'evento). In un certo senso è un regalo per tutti e tutte coloro che hanno fatto dell'iniziativa quello che è: un aggregatore di entusiasmo capace di farci chiamare da un'Associazione Culturale a noi sconosciuta come Il Cielo per offrirci gratuitamente lo spazio del Teatro Verga per realizzare l'evento. Succede. Succede che scopri che hai intessuto legami di fiducia e simpatia e che, aiutandosi l'un l'altra, si possono chiamare persone come Monica D'Ascenzo, Marilisa D'Amico, Iaia Caputo, Marisa Montegiove, Alessia Mosca, Marina Piazza, Alessandra Perrazzelli, Lorella Zanardo a partecipare con il loro talento e le loro competenze a una discussione partecipata nata sul web da donne e uomini normali quasi come una provocazione. Grazie. Grazie a chi ha già detto di sì e grazie a chi verrà. Grazie perché sarà bello sedersi in un teatro guardarsi in faccia e ascoltare. Questa volta sì, è tempo di ascoltare. Perchè anche questo è partecipazione.

#2eurox10leggi ancora una pagina a pagamento?

All'inizio fu una provocazione. Una provocazione per stigmatizzare un'anomalia tutta italiana. E un'anomalia che, ad oggi, si è ripetuta ben cinque volte. Così, l'ultima volta che un singolo si è comprato una pagina su un quotidiano per scrivere le sue lamentazioni, qualcuno ha commentato: «Propongo di comprare una pagina a pagamento per dire basta alle pagine a pagamento». Non fa una piega. E noi allora? Cosa stiamo facendo? Una prima risposta potrebbe essere: #2eurox10leggi sta provando a cambiare gli equilibri tra i fattori di un prodotto. Il prodotto, è vero, non cambia, ma invece di 1 per 100 mila, vogliamo arrivare a 100 mila per uno. “Uno“ sta per un obiettivo comune e concreto, “uno” sta per le 10 richieste di legge che le donne, ma anche molti uomini, ritengono ormai indifferibili. E questo perché fin dall'inizio abbiamo scelto di far prevalere il senso del noi rispetto all'esternazione individuale. Abbiamo preferito dare valore alla partecipazione comune e non al potere del denaro o delle lobby. Nessun bonifico immediato quindi, ma un faticoso, e per  alcuni lento, processo di crowdsourcing e crowdfunding. Con punti di vista diversi, twit, commenti, 2 euro alla volta (qualcuno anche un po' di più è vero), un post alla volta. Un cammino di cui credo si possa essere orgogliose e che, considerando i dati, ci ha già portato lontane. O forse più vicine, perché no. Più vicine alla condivisione di 10 temi importanti per il futuro di questo Paese. Più vicine alla costruzione di una buona prassi di politica tra donne (e non solo) fatta di fiducia e trasparenza. Più vicine a dimostrare che se è nella Rete che le donne hanno trovato una propria Agorà, è facendo Rete che potranno agire nella Realtà. Mi si perdoni la rima, ma non stiamo scherzando. Per ora, segnatevi la data del 17 dicembre. È tempo di cominciare.

Blogging Day. I risultati.

Sono 50 i blog che hanno partecipato al Blogging Day #2eurox10leggi dell’11.11.2011. Nello stesso giorno su Twitter, secondo Hashtracking, l’hashtag #2eurox10leggi il valore dei tweet è stato 822, 573.531 le impression e 110.578 i followers raggiunti. E mentre il blog, sempre tra il 10 e l1 novembre scalave le 8000 pagine visitate, la prenotazione quote raddoppiava.  Ma cosa è emerso dalla riflessione collettiva generata dal Blogging Day? Ecco una piccola classifica di parole e temi proposti dai vari post. Un primo dato condiviso è quello di considerare le questioni di genere non questioni per sole donne (La Tigella). D’altra parte, non ci può essere distinzione di genere quando si parla di dignità nel lavoro, nella famiglia e nella società (ifratelliKaramazov). Il muro che separa uomini e donne nei temi solitamente posti dalle donne è stato quindi abbattuto? La condivisione tra i generi è davvero la strada per avere una società migliore a misura di uomini e donne? (La Pillola Rossa di Grimilde e Pragnatiko). A guardare la partecipazione di molti blogger uomini a questa giornata si direbbe di sì. Ancora più chiaro chi afferma che la mancanza della voce delle donne in questo Paese è la madre di tutte le ingiustizie, mentre la loro scarsa presenza nella scena pubblica non è un problema delle donne ma un problema di tutta la società (Pratiche Sociali).

E, non è un caso, tra le leggi più sentite ci sono quelle che riguardano la conciliazione dei tempi dei lavori e della famiglia e della loro condivisione (Mammaeconomia, Articolo37). Emerge, dalle donne, un desiderio di impegnare i propri talenti nei lavori, di essere produttive al di là della famiglia (Mamma che testa, Cuor di carciofo). Ed emerge, la condivisione di una maternità-paternità di pari dignità e responsabilità, considerata cosa positiva anche per gli uomini (Elena cittadina del mondo).

Altra parola, e desiderio, ricorrente è cambiamento. Un cambiamento che arriva delle piccole cose, come la ripartizione dei lavori di cura e della famiglia, ma capace proprio per questo di produrre profonde rivoluzioni nel nostro modo di vivere e quindi nella società (Blimunda). C’è però chi è andato oltre e, su Twitter, ha chiesto a varie personalità, da Pippo Civati a Alesandro Maran, se ritenevano possibile un Premier donna. Perché proprio la presenza delle donne è sinonimo di cambiamento, mentre un’operazione come #2eurox10leggi è vista come un acceleratore dei tempi della politica (Una Opinione).

Fanno coppia con la parola cambiamento quelle di consapevolezza e partecipazione. La presa di coscienza di queste problematiche da parte di uomini e donne è indispensabile per una società più matura e giusta (A.r.p.a. Raggiungimento Parità e LaTina), fino a costituire un vero e proprio potere per le donne e gli uomini che intendono influenzare  i processi della politica (Ipaziaèvviva). Partecipazione è nei post del Blogging Day quasi un mantra positivo, legato alla parola libertà (Chiaradinome), e legato alla possibilità di essere protagonisti di un nuovo processo democratico capace di rinnovare la fiducia tra istituzioni politiche e cittadine e cittadini (Donne Manager Italia, Ipaziaèvviva). Qui non si chiedono soldi, ma molto di più, si chiede partecipazione (Lucia e basta). Si chiede cittadinanza attiva per chi, citando Albert Einstein, non vuole cadere nell’inerzia dei giusti (Mamarketing).

E speriamo che questo impegno dia i suoi risultati. In labore fructus (Lucio Cincinnato per pensieridiStefania), affinché le donne diventino, da oggetto, a soggetto della politica. D’altra parte, l’esigenza del fare, di provare a fare, è vista come l’unico modo per incrinare un sistema che è sempre stato impermeabile alle questioni femminili (Sabrina Arcarola). E anche ora, in piena emergenza, le questioni delle donne rischiano di essere inascoltate, quando invece potrebbero rappresentare il volano del cambiamento (Donne in Ritardo). Partecipare quindi è l’unico modo per agire nella realtà (Wonderpaulastra), per esercitare le nostre volontà. Partecipare è l’unico modo per uscire dall’individualismo e recuperare un senso del noi, abbassare le proprie personali differenze a vantaggio di una lotta comune (Una Opinione). Mettersi insieme pur nelle differenza dunque (Donne Migranti, Era ora di iniziare), mettersi insieme per agire nella Realtà. 12 mila persone che non si conoscono e che si mettono insieme per una causa comune può far paura, ma mi piace (Pentapata).

Perché #2eurox10leggi è nato dalla Rete ma dalla Rete vuole uscire (BatBlog)e non vuole certo essere una sorta di Second Life (Blogger Creativa, ifratelliKaramazov). D’altra parte, #2eurox10leggi per alcuni è già di per sé un fatto (Donne Migranti) e pronto per chiamare al tavolo della partecipazione anche competenze e talenti capaci di accrescere quella consapevolezza e quell’impegno a cui hanno partecipato, finora, più di 1500 fra uomini e donne (Ipaziaèvviva).

Iaia Caputo per #2eurox10leggi

C'è chi dice che non è il momento. Chi che le 10 leggi sono un giochetto per sole donne. Noi invece pensiamo che quelli sollecitati dalle 10 leggi siano i temi che un Paese che si appresta a uscire da una delle crisi più profonde della sua storia deve affrontare. Per costruire un futuro davvero migliore. Ecco la lucida analisi della scrittrice Iaia Caputo che ringraziamo per il suo contributo prezioso.

Un paese che ha creduto di poter fare a meno delle donne, che dunque ha escluso fin dove ha potuto la metà dei suoi cittadini, che è poi anche la metà del genere umano, dalle istituzioni, dai partiti, dalla scena pubblica in generale e da qualunque luogo dove si prendono decisioni importanti per la vita di tutti, era destinato a diventare un brutto Paese, per le donne, certo, ma anche per gli uomini. Comincerei con il dire questo a chi (e mi sembra già di sentirlo) davanti all’iniziativa #2eurox10leggi è pronto a storcere il naso, se non a scandalizzarsi: ma come, a un passo dal default, in piena emergenza economica, vi sembra il momento di proporre normative che riguardano «lussi» da nord-Europa come l’educazione sessuale nelle scuole o il congedo di paternità obbligatoria?
Ebbene sì, non solo proprio in questo momento, ma più che mai in questo momento è la risposta, e per alcune determinanti ragioni.
La prima è che il rigore non potrà niente, neppure riordinare i conti italiani, se non coniugato a politiche di sviluppo, e ad almeno a un abbozzo di "visione" del tempo che verrà, ripensando il welfare, il mondo del lavoro, le diseguaglianze sociali e le frustre discriminazioni che ancora affliggono l’Italia. Seconda, e più importante ragione, è che in questo Paese «anomalo», l’anomalia che riguarda le donne (e di cui vorrei dare qualche dato), non è meno importante o urgente o dirimente delle altre, semmai le attraversa tutte, poiché è diventata uno dei vulnus di una democrazia malata. Quali sono infatti le conseguenze più drammatiche e visibili di questa esclusione delle donne? Il sessismo è dilagato, la misoginia si è diffusa alla stregua di un’epidemia, infettando linguaggi, comportamenti, mentalità, anche tra i giovani e i giovanissimi. Lo scontro tragico tra due paesi, due Italie, addirittura tra due antropologie umane, due visioni diametralmente opposte delle cultura istituzione e della convivenza civile, ha inevitabilmente portato la politica sulla strada di una guerra permanente, che dal conflitto guerresco tra opposte fazioni ha finito per mutuare la violenza dei lessici e dei gesti. La sostituzione dei «Padri della patria» con una genia di «Padri dell’orda», la generazione politica più vecchia (e monosessuale) del mondo, immersa in un orgiastico ed eterno presente, totalmente dimentica del futuro dei propri figli e altrettanto disinteressata all’impegno di un qualsivoglia lascito, al dovere dell’eredità (ciò che ha sempre legato una generazione all’altra sul filo della memoria e della riconoscenza), ha generato nel corpo sociale, tanto più tra i giovani uomini, un’irresponsabilità diffusa, una pericolosa incapacità a riconoscere il plurale oltre al proprio ego, il reale dal virtuale, il limite.
Secondo le più recenti stime dell’Istat (novembre 2011), la disoccupazione è cresciuta all’8,3 per cento e il 29,3 per cento dei giovani dai quindici ai ventiquattro anni non trova lavoro: quasi uno su tre. E dire che il rapporto dell’Istat relativo al 2010 era già apparso clamorosamente grave: un italiano su quattro a rischio povertà, il 18,8 per cento dei ragazzi che abbandonano la scuola prima del diploma superiore, 800 mila lavoratrici che dichiarano di essere state costrette ad abbandonare il posto alla nascita del primo figlio, e comunque il 27 per cento delle donne occupate lascia con la prima maternità in assenza di qualsivoglia servizio o aiuto economico. Ma probabilmente per denunciare la gravità della situazione occupazionale femminile basterebbe dire che il 50 per cento delle donne italiane risulta inattivo, cioè neppure più in cerca di un lavoro: la peggiore percentuale in Europa, solo Malta viene dopo di noi, e condannata a peggiorare con la crisi che assedia il vecchio continente. E non è solo questione di quantità, anche di qualità: stanno già diminuendo infatti le professioniste e le tecniche specializzate, mentre aumenta il lavoro poco o per niente qualificato. Solo le badanti resistono, e d’altra parte non può certo sorprendere in un Paese dove il lavoro di cura ricade interamente sulle donne, dal momento che nessuna politica di conciliazione è stata fatta come è invece è accaduto, per donne e uomini, nel nord Europa, né si è investito nei servizi o in welfare.
E per quanto possa giudicarsi eccessiva o persino sbagliata, la scelta del Women in the World 2011, la conferenza internazionale sulla condizione femminile nel mondo tenutasi a New York, di prendere in esame un’unica democrazia occidentale, la nostra, è un incontrovertibile segnale di allarme. L’arretratezza della situazione delle donne in Italia, è stata costretta a spiegare in quell’occasione la vicepresidente del senato Emma Bonino, «è frutto di un’accumulazione di fattori: il familismo ipocrita viene esasperato dal ricorso costante agli stereotipi e alla volgarità. Ricacciata in casa, privata delle infrastrutture sociali più elementari, la donna italiana è l’ultima dell’Unione Europea sotto ogni aspetto, in tutte le classifiche». Mentre il Newsweek nel presentare l’appuntamento del Women in the word, commentava così lo straordinario successo della manifestazione del 13 febbraio, Se non ora quando?: «L’affluenza ha superato le attese, le italiane sono scese in piazza contro il premier Silvio Berlusconi e la cultura sessista creata dal suo impero mediatico. Dopo mesi di scandali sulle avventure sessuali di Berlusconi, e anni di stallo in una nazione dove il 90 per cento degli uomini non ha mai acceso una lavatrice, le italiane dicono Basta». Non è vero che scendemmo in piazza contro il Premier. Certo, l’esasperazione per la sua proterva e famelica «dismisura» fu un formidabile collante, ma quel milione di donne che affollarono le piazze d’Italia fu capace di una mobilitazione impressionante perché mosso da ragioni che venivano da molto lontano e più lontano dell’antiberlusconismo andavano. La verità è che a centinaia di migliaia, ciascuna per sé, sapeva il dolore e la pena, la rabbia e la frustrazione per lo iato ormai incolmabile che esiste tra le proprie storie, di valore, talento, intelligenza, coraggio, di obiettivi raggiunti, di battaglie vinte; tra la qualità e i meriti che ciascuna ha espresso nella propria vita, ha riversato negli ambiti di appartenenza, lavoro e professioni, studi, famiglia, relazioni, in una parola, nel mondo; e il fatto che tutto questo non sia diventato forza collettiva, non sia servito a contare, a fare la differenza. Al contrario, siamo oppresse da una rappresentazione di miseria simbolica, da una narrazione televisiva che calpesta la nostra dignità, che rischia di occultare la realtà di quel che siamo e di sostituirsi a essa, da un linguaggio politico offensivo, da una società che ha ormai perso qualunque freno inibitorio, da una certa politica che ha fatto dei corpi delle donne palese merce di scambio… Come non cogliere che nello stesso Paese che ha espulso le donne dalla scena pubblica è lo stesso Paese dove ogni tre giorni muore una donna per mano di un uomo? Dove si calcola che più di sei milioni di uomini siano clienti abituali di trans e prostitute? Nel quale le donne hanno sulle spalle, anche quelle che lavorano, più del 70 per cento del lavoro di cura e dall’altra parte gli uomini, proprio dalle loro donne, madri, mogli o amanti, vengono trattenuti in un infinito giardino d’infanzia, esentati da qualunque compito di accadimento e non solo?
È possibile non rendersi conto che tanto più si maschilizza la nostra società tanto più i parametri sociali, economici, culturali arretrano? E tuttavia queste dieci leggi non sono «per le donne», innanzitutto perché chi le propone non pensa di appartenere a una categoria protetta e tantomeno a una lobby o, banalmente, a una minoranza discriminata. Queste sono le leggi che le donne chiedono alla politica, non (solo) per se stesse, ma per proprio per tutte e per tutti. Le chiedono in quanto consapevoli di partecipare al mondo e del mondo insieme a un altro sesso, e poi come povere o come ricche, come professioniste o disoccupate, vecchie e giovani, precarie e garantite. Le chiedono, e basta leggerle per capirlo, non come tutele o privilegi, come contributo a una visione nuova di società, di futuro, di equità. Le chiedono, infine, perché, fatalmente, un Paese dove vivono bene le donne è un luogo nel quale vivranno meglio tutti. Iaia Caputo

un paese migliore, un paese normale

Questo è il commento di Manuela Mimosa Ravasio in risposta ad altri che segue la pubblicazione dell'articolo su #2eurox10leggi pubblicato su la27esimaOra de Il Corriere della Sera, qui il link. Vi invitiamo a seguire il dibattito e commentare.

Personalmente la cosa che mi rattrista maggiormente leggendo alcuni di questi commenti è la constatazione di essere, ancora, in un Paese ben lontano dalla normalità. Ringrazio Rosi Mascia per tutti i dati, anche se sicuramente i fedeli lettori del Corriere della Sera  avranno avuto occasione in questi mesi, se non in questi anni, di leggere in tanti e dotti articoli, quanto e come la partecipazione attiva delle donne nei lavori e nelle istituzioni vada di pari passo con il livello di competitività e persino di democrazia, di un Paese. Un Paese che mortifica le donne nel loro talento e intelligenza, un Paese che nega loro una pari dignità nella rappresentazione e nelle funzioni, è un Paese destinato a restare indietro. È un paese peggiore. E non solo per le donne, ma anche per gli uomini. Leggere le 10 leggi come ad esclusivo vantaggio del genere femminile è quindi un abbaglio clamoroso. Com’è un abbaglio clamoroso concepire la politica delle donne come una politica a metà, o di parte. Le 10 leggi vogliono essere solo l’occasione di fare una politica per tutti, ma da un altro punto di vista. Quel punto di vista che, come diceva Giulia Bongiorno mesi fa, potrebbe riconquistare la fiducia della gente comune. Quel punto di vista, quel genere di competenza che in Italia manca da troppo tempo. È pur vero che, come dice qualcuno, le quote rose sono in un certo senso una forzatura. Ma dovremmo interrogarci sul perché, Paesi con un’alta qualità di welfare come i Paesi Nordici, hanno deciso comunque di introdurle per garantire un’equa presenza delle donne nei luoghi dove si decide. Perché, e lo ripeto, l’assenza delle donne in quegli stessi luoghi è un problema anche per la qualità democratica del Paese. Io sono sicura che i lettori del Corriere della Sera hanno ben presente il tema. Che non è un tema per sole donne. Non è un tema che divide i sessi, ma li coinvolge per una nuova idea di società. Una società migliore per tutti e tutte, uomini e donne. Con le 10 leggi si è voluto dare un segno di concretezza. Cominciare dal basso con proposte/richieste che parlassero di realtà. Che cosa c’è di più coraggioso di dichiarare 10 desiderata chiari? Vi sembra davvero che la politica degli ultimi anni, destra o sinistra che sia, sia stata un inno alla chiarezza e alla trasparenza? E vorrei tranquillizzare chi ha paura di un vetero-femminismo di ritorno che non è questo il caso. Personalmente ho un certo fastidio per tutti gli “ismi” e alle 10 leggi partecipano, e stanno partecipando, anche uomini. Perché anche gli uomini sono stanchi di essere rappresentati come cavernicoli incapaci e soprattutto non desiderosi di condividere tutto con le loro compagne/compagni. A cominciare dalla cura dei figli e della famiglia. Pensate che bello, un Paese normale.